Come si approccia il negoziato di un accordo commerciale con la Cina?
Vediamo quali sono – in base alla mia esperienza – i temi da affrontare e le principali domande da porsi, prendendo come esempio pratico il negoziato di un accordo di distribuzione commerciale.
Partiamo dalla prima questione che è importante chiarire.
Biglietti da visita, siti web, brochure cartacee o digitali, presentazioni e ogni altro materiale che sia stato condiviso in lingua inglese non ha alcuna valenza ufficiale in Cina.
La denominazione sociale della controparte e il nome e cognome delle persone che la rappresentano o agiscono per suo conto, scritti in inglese, sono solo nomi di fantasia.
Per avere certezza dei dati della società e dell’identità delle persone occorre chiedere l’invio delle informazioni in lingua cinese, con particolare riferimento alla business license societaria (equivalente della nostra visura camerale), dalla quale si può evincere la denominazione, l’oggetto sociale, il capitale sociale registrato e versato, il nome del legale rappresentante.
I dati possono poi essere verificati dal legale che assiste la società italiana, accedendo al portale della State Administration of Industry and Commerce della provincia in cui ha sede la parte cinese.
Questa prima verifica è fondamentale, per essere certi di non perdere tempo o addirittura di non incappare in vere e proprie truffe (qui un approfondimento sul blog di Legalmondo).
Meglio di no.
Le bozze di accordo utilizzate in Cina sono spesso realizzate con dei copia e incolla su modelli incompleti, superficiali, male organizzati e redatti in pessimo inglese, che spesso non corrisponde alla versione cinese del contratto.
Correggere e integrare questi modelli è un lavoro complicato, che richiede più tempo rispetto a partire da un modello corretto, con risultati non ottimali.
Meglio proporre un testo costruito in modo coerente e chiedere che sia la controparte a proporre eventuali cambiamenti e integrazioni su questa bozza.
Solitamente non è una buona idea.
Anche se un contratto in lingua inglese è perfettamente valido, ci sono molte ragioni per le quali è sconsigliabile utilizzare nel mercato cinese dei modelli di contratto costruiti per altri paesi.
La prima è data dal fatto che gli accordi di matrice anglosassone, come quelli per gli USA, fanno riferimento ad un sistema di common law (che si basa sulle decisioni giudiziarie e sui precedenti giurisprudenziali) che è molto diverso da quello dei paesi di civil law (come la Cina e l’Italia) che discende dalla tradizione giuridica romana, basato su un insieme codificato di leggi scritte.
Ne discende che l’impostazione di un accordo di distribuzione su modello anglosassone è diversa, molto più dettagliata e corposa, rispetto a quella di un tipico accordo basato su un sistema di civil law. E visto che i negoziati contrattuali in Cina sono generalmente lunghi e complessi, lavorare su un testo ridondante e complicato, in partenza, non aiuta.
A ciò si aggiunga che ad un accordo di distribuzione in Cina è consigliabile applicare la legge cinese e prevedere come modalità di risoluzione delle controversie un arbitrato con sede in Cina (ad esempio alla CIETAC) o ad Hong Kong o Singapore (paesi terzi, dove però i costi della procedura aumentano sensibilmente), quindi è preferibile che il contratto sia costruito ab origine su un modello conforme alla legge che sarà applicabile al rapporto.
Si tratta di un tipico punto di disaccordo in sede di negoziato di un contratto internazionale, nel quale le parti mirano ad ottenere l’applicazione della legge del proprio paese, e a stabilire che eventuali controversie siano giudicate dai propri giudici nazionali.
Nel nostro caso, insistere per l’applicazione di legge e giudice italiano non è buona idea: va considerato, infatti, che un accordo di distribuzione viene svolto, per la grande maggioranza, nel paese in cui opera il distributore e in cui si vendono i prodotti.
In caso di controversie, l’interesse delle parti (in particolare, del produttore) è quello di ottenere una rapida decisione da parte dell’organo giudicante, specie se sono in corso situazioni che richiedono una immediata tutela (come condotte sleali o contraffazioni di marchi e brevetti da parte del distributore).
Tutto ciò non è possibile se ci si rivolge ad un giudice italiano (con tempi lunghi di causa, e la necessità poi di un iter complesso e costoso per il riconoscimento della sentenza in Cina); al contrario, radicare un arbitrato in Cina, applicando la legge cinese, consente di giungere ad una decisione in tempi rapidi (mediamente 6-9 mesi) e se necessario anche di ottenere provvedimenti urgenti per bloccare eventuali condotte sleali.
Per un approfondimento sulla scelta delle modalità di risoluzione delle controversie in un contratto internazionale, segnalo questo articolo sul blog di Legalmondo.
É bene che la conosca l’avvocato -specializzato- che assiste l’imprenditore.
Non è quindi un salto nel vuoto, e non bisogna temere sorprese.
Inoltre, si deve tenere a mente che un accordo di distribuzione si basa in massima parte sui patti che le parti hanno scritto nel contratto; quindi, se il lavoro di redazione del testo è stato corretto, le regole da applicare sono chiare.
Infine, va ricordato che l’accordo di distribuzione è un contratto quadro, all’interno del quale si concludono una serie di separati contratti di vendita di prodotti: Italia e Cina sono entrambe contraenti della Convenzione di Vienna del 1980 sulla Vendita Internazionale di Beni Mobili, che detta una normativa uniforme, chiara, bilanciata e agevolmente reperibile e consultabile.
No, il contratto è valido anche solo in lingua inglese.
Ma è certamente raccomandabile redigere una versione con testo a fronte in lingua cinese.
Ciò per diversi ordini di ragioni: in primo luogo, per evitare che la controparte debba provvedere alla traduzione del testo nel corso del negoziato, ad uso interno (spesso i top manager non parlano inglese), rallentando così i vari passaggi delle trattative.
Inoltre, per essere certi che il contenuto dell’accordo sia perfettamente compreso dalla parte cinese e scongiurare malintesi (veri o strumentali) sull’interpretazione di certi patti.
Infine, va tenuto a mente che se il contratto dovesse poi essere utilizzato davanti ad un giudice o ad un’autorità amministrativa, l’unica lingua ufficiale in Cina sarebbe il cinese; per tale motivo è meglio avere già un testo condiviso e sottoscritto dalle parti anche in cinese, piuttosto che dover predisporre una traduzione unilaterale in un secondo momento.
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Le considerazioni svolte sono di tipo generale e si possono applicare al negoziato di diversi accordi commerciali in Cina: licenza, fornitura, franchising, trasferimento di tecnologia, etc.
Se ti interessa approfondire il tema degli accordi di distribuzione commerciale in Cina, suggerisco questo articolo di approfondimento sul blog di Legalmondo.