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Nike nasce come piano B, un’uscita di emergenza da un contratto di distribuzione commerciale internazionale nato male e finito peggio. 
Quali lezioni si possono trarre da questa storia?

Nel corso di due workshop organizzati da Confindustria Verona il 4 e 17 ottobre 2024 abbiamo ripercorso la strada fatta da Phil Knight (fondatore di Nike, che al tempo si chiamava Blue Ribbon Sports) , partendo dal primo contratto concluso dalla nascente società, un accordo di distribuzione commerciale con il prodottore giapponese Onitsuka Tiger. 

Correva l’anno 1964 e nei successivi 8 anni Knight avrebbe conquistato una grande fetta del mercato americano delle scarpe da corsa, fino a quando, come un fulmine a ciel sereno, apprese che il prodotture giapponese stava ricercando un altro distributore negli USA, scatenando un conflitto tra le parti dal quale nacquero l’idea di Nike ma anche due cause giudiziarie che misero a serio rischio l’esistenza stessa della società.

Sono stati incontri molto partecipati, nei quali abbiamo analizzato in modo pratico i principali punti di un accordo di distribuzione internazionale, per capire dove nascono i problemi e come individuare, evitare o mitigare i principali rischi.

Abbiamo identificato i seguenti passaggi critici nel contratto di distribuzione oggetto dell’incontro:

  • Accordo solo commerciale, nel quale la parte di obblighi e diritti delle parti non era affrontata
  • Estensione dell’esclusiva sul territorio americano non chiara, con conseguenti conflitti con altri distributori che hanno fatto “free riding” sull’avviamento commerciale generato da Blue Ribbon 
  • Durata fissa (3 anni) troppo breve in relazione agli investimenti richiesti al distributore
  • Obiettivi commerciali non chiari, con conseguente conflitto sulla valutazione dell’andamento dell’attività
  • Mancata definizione delle titolarità dei marchi (Cortez e Boston) creati per la distribuzione sul territorio americano
  • Mancata indicazione delle modalità risoluzione delle controversie, che portò a due cause in parallelo (negli USA e in Giappone) con alti costi e grande complessità di gestioneIl takeaway principale è che i contratti vengono negoziati – e spesso conclusi – dai commerciali dell’azienda, che devono essere consapevoli di quali sono gli elementi importanti di un accordo di distribuzione internazionale, per essere in grado di gestirli al meglio. 

Il modo migliore di procedere, per essere certi di non dimenticare alcun tema importante, è seguire una checklist dei patti da negoziare, come la seguente:

Ne abbiamo predisposta una online, che può essere un utile strumento da seguire in un negoziato: la trovate a questo link. 

La palla deve poi passare al legale (interno o esterno) per declinare il memorandum contentente quanto discusso nel negoziato in un contratto corretto e completo: questo passaggio è particolarmente problematico, perchè ogni paese ha le sue specificità e non esiste il modello di accordo perfetto. 

Per approfondire i temi trattati, consiglio la lettura di questo articolo .


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